Non solo uomini, uccelli e balene: anche i topi cantano, solo che lo fanno in uno spettro di frequenze inaccessibile all’orecchio umano. Ecco 7 curiosità sul canto dei topi.
1) Non siamo in molti a cantare per amore.
Nonostante il canto di corteggiamento sia un comportamento molto diffuso in natura – per esempio tra rane, insetti, uccelli – tra i mammiferi non è cosa molto frequente. Gli unici altri mammiferi abbastanza romantici da cantare per sedurre le proprie belle sono i pipistrelli, le balene e naturalmente gli umani.
2) Il topi maschi cantano in presenza di una femmina o dei suoi feromoni.
Per indurre un topo a cantare non basta il buonumore. Ci vuole uno stimolo più forte: i topi, infatti, emettono il loro canto solo in presenza di femmine fertili, oppure se esposti ai loro feromoni. L’unica altra (conosciuta) occasione in cui i topi “cantano” è quando essi sono cuccioli e debbono richiamare l’attenzione della madre. Anche questo canto è rigorosamente ad ultrasuoni, pur non condividendo le caratteristiche “sintattiche” dei canti d’amore dei topi adulti.
3) Il topi cantano tra i 30kHz e i 110 kHz.
Al contrario, le emissioni vocali umane vanno dagli 80 ai 1500 Hz: cioè noi cantiamo (e parliamo) su frequenze mille volte più basse di quelle che usano i topi. Per questo il loro canto è per noi del tutto impossibile da udire. In ogni caso, gli esseri umani non riescono ad udire oltre i 20kHz: e a questa soglia arrivano solo in gioventù – e solo se in ottima salute.
4) Il canto d’amore del topo maschio ha sillabe e “parole”.
I ricercatori hanno studiato il canto di svariati esemplari differenti per un tempo di tre settimane: una grossa mole di dati. Questi poi, una volta analizzati, hanno rivelato che il canto dei topi è non meno strutturato di quello degli uccelli. Come i loro colleghi alati, i topi producono vocalizzazioni che hanno tipi differenti di sillabe – e queste sillabe tendono a comporsi in sequenze che si ripetono regolarmente.
5) Ogni topo ha il suo stile.
I ricercatori hanno dunque registrato 45 topi maschi per altre tre settimane. Hanno poi rianalizzato tutti i canti, selezionando i pattern di canto preferiti per ciascun maschio: con delle successive analisi statistiche, sono poi stati in grado di riclassificare tutte le registrazioni entro lo stile di ciascun maschio. Non solo, dunque, i topi cantano, ma ciascuno ha il suo stile riconoscibile, così come le sue “frasi” preferite.
6) I geni determinano come il topo canterà.
Al contrario di altre specie, finora nei topi non si sono trovate evidenze di un “evoluzione culturale” dei canti, o anche solo di un apprendimento dai genitori. Diverse specie di uccelli, balene e delfini mostrano invece una chiara evoluzione culturale nei loro canti. Essi vengono appresi in gioventù e vengono poi riproposti e modificati durante la vita adulta. Dei ricercatori hanno registrato il canto del topo padre, affidando nel frattempo i topi figli ad un altro nucleo famigliare. I risultati sono chiari: i topi cantano come il padre biologico – e non come quello adottivo.
7) Le femmine ascoltano, apprendono e scelgono: ma non in base ai geni.
Un altro esperimento ha dimostrato che le femmine di topo tendono a preferire il canto che proviene da topi maschi che non sono cresciuti assieme a loro. Ovvero: esse ricordano il canto d’amore del loro padre – o padre adottivo – e scelgono i propri partner in base a questo – cercando però quello che più se ne discosta. Stranamente, però, si tratta di un comportamento appreso e non genetico. Ovvero, se una femmina è stata cresciuta in un certo nucleo famigliare, tenderà poi a preferire i canti maschili a seconda di quanto questi saranno diversi da ciò che essa sentiva da piccola, anche se il canto che sente è quello di un fratello dal quale è stata separata alla nascita. In un esperimento, dei ricercatori hanno preso topi fratelli e li hanno assegnati a nuclei famigliari diversi. Nonostante la similarità genetica, le femmine di topo cresciute preferivano il canto dei propri fratelli genetici – purché cresciuti in un diverso nucleo famigliare – a quello dei propri fratellastri, estranei da un punto di vista genetico, ma con i quali avevano trascorso l’infanzia.
Fonti:
http://www.plosbiology.org/article/info%3Adoi%2F10.1371%2Fjournal.pbio.0030386
http://www.plosone.org/article/info%3Adoi%2F10.1371%2Fjournal.pone.0087186
http://www.plosone.org/article/info%3Adoi%2F10.1371%2Fjournal.pone.0017721