Cosa succede nel nostro cervello quando siamo tristi o euforici, arrabbiati o ottimisti, oppure quando abbiamo a che fare con gli altri?
Quali sono le strutture cerebrali alla base della vita emotiva?
Fino a non molti anni fa la ricerca psicologica e neuroscientifica non era affatto interessata al “cuore”, ma solo alla “testa”, ossia alle funzioni cognitive. Negli anni Settanta alcuni studiosi intrapresero una serie di ricerche pionieristiche che avrebbero portato alla nascita delle cosiddette “neuroscienze affettive”.
Oggi Richard Davidson è riuscito a dimostrare l’intuizione che lo aveva folgorato all’inizio degli anni Settanta ad Harvard: ragione e sentimento non sono polarità inconciliabili, e a ciascuna corrispondono zone e funzioni cerebrali specifiche. Su queste basi Davidson ha elaborato la teoria degli stili emozionali, sei dimensioni emotive che descrivono la personalità di ognuno. Poiché le emozioni si fondano su precise basi neurali, è possibile intervenire sui nostri comportamenti, disfunzionali o meno.
Le neuroscienze hanno persino individuato nella meditazione uno strumento molto potente per modificare le strutture cerebrali, sfruttandone la neuroplasticità. A garanzia del valore di queste ricerche, l’equipe di “collaboratori” di Davidson annovera niente meno che il Dalai Lama. Il cervello non è una scatola impenetrabile e immutabile come si è pensato per secoli: migliorandone il funzionamento, possiamo vivere meglio con noi stessi e con gli altri.
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