Nuove tendenze nel campo delle tecnologie neuroscientifiche: utilizzare la risonanza magnetica funzionale sul cervello dei cadaveri per perfezionare la ricerca sul cervello e la tecnologia stessa.
Per migliaia di anni gli studi diretti sul cervello umano richiedevano la presenza di un cadavere. Il metodo principale era la dissezione, che prevedeva un accesso fisico al cervello. A parte rari casi in cui il cervello vivente era esposto sul campo di battaglia o sul tavolo operatorio, i cadaveri e i loro cervelli conservati rappresentavano la fonte maggiore della nostra conoscenza.
Con l’invenzione delle tecnologie di neuroimmagine nel XX secolo, è stato possibile per la prima volta mostrare la struttura e le funzioni del cervello in umani viventi. Di conseguenza, non era praticamente più necessaria l’analisi di cadaveri per la ricerca. Recentemente, però, alcuni ricercatori hanno voluto applicare le tecniche di neuroimmagine ai cervelli di persone decedute.
Il primo esempio riguarda la medicina legale. I patologi forensi hanno il compito di trovare causa e modalità di decesso come prova legale e hanno svolto un ruolo importante in questa curiosa storia. Uno dei loro lavori principali è l’autopsia, in cui viene analizzato il corpo (sia dentro che fuori) per valutare le sue condizioni al momento della morte. Nonostante l’autopsia tradizionale abbia molti vantaggi, vi sono anche alcuni inconvenienti. Ad esempio, per alcune religioni tagliare il corpo di un morto è visto come una violazione della dignità umana e può tardare di molto il momento della sepoltura. Inoltre, l’autopsia rappresenta un colpo secco: se qualcuno è in disaccordo con il modo in cui è stata condotta o le sue interpretazioni, non è possibile ripetere l’operazione, se non analizzando nuovamente le immagini o campioni di tessuto, se sono stati tenuti.
Di conseguenza, si è cominciato ad utilizzare tecnologie mediche come la TAC e la risonanza magnetica per creare immagini tridimensionali del corpo senza vita, che possono essere conservate e analizzate più volte. Dal punto di vista forense, queste immagini possono essere confrontate con l’oggetto che ha causato il danno, come la forma di un’arma o il percorso di un proiettile.
Si è anche cominciato ad analizzare la misura e la forma del cervello al momento della morte in persone affette da schizofrenia o dal morbo di Alzheimer: un metodo più rapido ed economico rispetto agli altri comunemente utilizzati per questo tipo di analisi, e che dà agli scienziati la possibilità di utilizzare lo stesso software sviluppato per studiare i vivi.
Gli studi più interessanti eseguiti sui cadaveri con l’utilizzo della neuroimmagine, tuttavia, non hanno lo scopo di comprendere la morte, ma di regolare la tecnologia per i viventi. La risonanza magnetica funzionale (fMRI), ad esempio, consiste nell’individuare minuscole differenze nei segnali radio emessi dal cervello e dal sangue a seguito di una manipolazione delle molecole tramite campi magnetici. Si possono incontrare diverse difficoltà per quel che riguarda l’affidabilità della lettura di questi segnali e molto si sta facendo per eliminare possibili errori, ma non sempre è chiaro cosa causi queste imprecisioni, soprattutto perché un leggero movimento corporeo o la respirazione possono essere mal interpretati e intesi come attività cerebrale. Il cervello di un cadavere è quindi perfetto per questo tipo di analisi.
Recentemente, inoltre, alcuni neuroscienziati hanno verificato la possibilità che un tipo di stimolazione cerebrale elettrica causasse letture falso-positive durante gli esperimenti con la fMRI. Hanno scoperto che, applicando la stimolazione a soggetti defunti, questi sembravano mostrare attività cerebrale, dove ovviamente non ce n’era, fornendo un importante monito per chi adotta questa tecnica sui viventi.
Non ci stupisce, forse, che con il diventare una popolazione che invecchia sempre più il cervello sia un’area di ricerca in crescita. Ma contrariamente all’idea che lo studio scientifico su corpi senza vita sia una scienza obsoleta, i cadaveri hanno cominciato a svolgere un ruolo attivo nel perfezionamento delle nuove tecnologie.
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