Il frenetico bisogno di essere occupati: residuo evolutivo o paura dei propri pensieri?

Molto tempo è passato da quando Seneca difendeva l’importanza dell’otium, del non impegnarsi in azioni prive di utilità e valore. Egli non elogiava infatti l’ozio come è comunemente inteso nel contesto contemporaneo, bensì l’avvicinarsi a sé stessi, per cercare la propria verità e serenità.

Questa non è l’introduzione ad un trattato filosofico, bensì alla presentazione di una ricerca psicologica che si è proposta di indagare le motivazioni che spingono le persone ad impegnarsi sempre di più in varie attività.

L’avversione all’ozio e il bisogno di un’occupazione giustificabile: lo studio

Con una ricerca condotta su 98 studenti universitari, un gruppo di ricercatori ha voluto testare due ipotesi:

  1. Anche una motivazione debole o inconsistente può motivare le persone a scegliere l’occupazione piuttosto che il non fare nulla;
  2. Essere occupati, indipendentemente dal fatto che questo sia imposto o scelto, determina livelli più elevati di felicità rispetto al non esserlo.

Per verificare la prima ipotesi, agli studenti è stato chiesto di scegliere in quale luogo consegnare un sondaggio precedentemente compilato. Il primo luogo era vicino, consentendo alle persone di completare il compito più velocemente, tornare al centro di ricerca e aspettare senza fare nulla (l’opzione inattiva); il secondo era invece lontano, con pochissimo tempo da aspettare una volta tornati (l’opzione occupata).

I risultati hanno mostrato che a determinare la scelta era la motivazione. Infatti i partecipanti sarebbero stati ricompensati con del cioccolato, ma quando è stato loro detto che il cioccolato sarebbe stato lo stesso indipendentemente dall’opzione scelta, solo il 32% dei partecipanti ha scelto il luogo lontano. Quando invece la tipologia di cioccolato era differente nei due luoghi, il 59% ha scelto l’opzione “occupata”.

Per la seconda ipotesi, invece, sono stati esaminati gli effetti di “forzare” le persone all’occupazione o all’inattività. Sorprendentemente, anche quando non avevano scelta, coloro che erano stati “costrettiad essere occupati riportavano livelli di felicità significativamente più alti rispetto a quelli in uno stato di inattività forzata.

Le origini di questa inclinazione

L’idea che le persone rifuggano l’ozio e preferiscano essere occupati è stata confermata da diverse ricerche, in cui sono emersi i seguenti elementi:

  • timore della noia;
  • ansia derivante dall’attesa;
  • lavoro percepito come virtuoso e portatore di apprezzamento tra le persone.

In uno sforzo per comprendere le radici di queste tendenze, gli autori dell’indagine hanno teorizzato che il nostro desiderio contemporaneo di “busyness” (i.e frenesia, operosità) e la necessità di una giustificazione per esso possano essere radicati nel nostro passato evolutivo. Nella lotta per la sopravvivenza, i nostri antenati dovevano conservare energia, rendendoci oggi cauti nell’utilizzarla senza uno scopo apparente. Nonostante la nostra moderna facilità di accesso a comfort e risorse, rimarrebbe quindi in noi un’antica inclinazione a cercare scopi e giustificazioni per le nostre azioni.

C’è chi invece per spiegare questa inclinazione non fa ricorso all’evoluzione, bensì la volontà di evitare il rischio di trovarsi da soli con i propri pensieri, nonché l’impronta produttivistica della nostra società, la quale incoraggia ad essere utili e impegnati, considerando pigre le persone che hanno “troppo” tempo libero.

Conclusione

La nostra epoca è caratterizzata dalla frenesia, da un’incessante ricerca della produttività e dall‘idealizzazione dell’essere occupati. Mentre molto spesso ritroviamo la causa di questi elementi nella società, con le sue richieste e aspettative, questo studio suggerisce che le nostre dinamiche comportamentali potrebbero essere radicate alle nostre inclinazioni evolutive.
Se è vero che la busyness è divenuta ormai quasi un sigillo di virtù, una testimonianza del nostro valore e della nostra dedizione, è altresì un dato di fatto che l’eccesso ci conduce poi a stati di malessere, causati da stress, burnout e mancanza di connessione con noi stessi.

In questa congiuntura, appare quindi cruciale ricercare un equilibrio, una sintesi armoniosa tra l’attività e l’inattività, che ci permetta di onorare il nostro bisogno intrinseco di essere utili e produttivi, ma anche quello profondo di conoscerci, riflettere e crescere.

 

 

 

 

 

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